La vela è una terapia?
Il mare è un farmaco che cura 16 malattie, le hanno contate (dalle allergie respiratorie al rachitismo). E la vela che si fa sul mare, magari in alto mare ? “La vela è la mia terapia”. È quasi una battuta, un detto sempre più frequente tra i velisti ed aspiranti tali.
La vela è una passione folle. Altra “verità” di cui si disserta tra gli addetti e non. Qui la vela non cura la malattia, ma la determina.
Quale sarà la verità?
Si favoleggia su chi, partito in barca a vela dal nostro malato mondo occidentale, da malato di cancro, si sia trovato guarito una volta arrivato in Polinesia.
Quindi si spazia dalla più grave malattia fisica alla più grave malattia psichica. Qui potrei essere tentato ad una divagazione professionale sull’interconnessione tra mente e corpo, ma ve la risparmio.
Dico solo che anche la vela, come tutte le passioni, può essere sia una terapia che una malattia.
A suo tempo, mi è sfuggita l’espressione secondo cui la vela mi avrebbe salvato dalla schizofrenia, all’epoca in cui la frequentavo quotidianamente, la schizofrenia e gli schizofrenici.
Poi anch’io mi ammalai di cancro, una prima ed una seconda volta.
Del primo (di quasi trent’anni fa) dovrei essere “guarito”, con il secondo ci convivo da oltre dieci anni. Il mio convivente attuale si chiama, in gergo tecnico, Linfoma Indolente. La sua indolenza è legata alla sua straordinaria benignità, alla sua scarsa aggressività. Un’indolenza infida di un tumore che, paradossalmente, è tanto “benigno” quanto meno curabile e forse più inesorabile.
Infatti i medici a proposito di quello primo, “maligno”, di trent’anni fa mi dicevano: ” il tuo tumore è tra i più “aggressivi”, ma proprio per questo è anche tra i più curabili perché risponde meglio ai nostri farmaci più aggressivi”.
Ora ci convivo bene con questo convivente. È indolente, ma non insolente. Mi permette una qualità di vita vissuta, come mai l’ho vissuta prima.
Vivo di vela 365 giorni l’anno. Vela navigata per un semestre, vela pensata per l’altro semestre. Per la mia malattia non faccio alcuna terapia (farmacologica). L’unica terapia cui mi sottopongo è quella della vela (praticata e non). Non la vela agonistica delle regate allo spasimo, in cui un velista è contro un altro. Ma la vela di chi vive in barca zigzagando per i mari non (solo) per arrivare ma (soprattutto) per viaggiare, nel modo più economico ed ecologico.
Vivere di vento, sole e mare in una casa galleggiante tra le più instabili e scomode, la barca a vela. Una sfida ed una scommessa che ti giochi con te stesso e la tua barca, da solitario od in equipaggio.
Una scommessa a sopravvivere in balia degli elementi della natura, non sempre favorevoli ed in balia dei sentimenti, spesso contrastanti, tuoi e dei tuoi compagni di viaggio.
Una malattia indolente che ti fa vivere con la minor indolenza possibile. Ti fa affrontare con coraggio ed allegria i marosi della vita.
Sono un ultrasettantenne che grazie alla malattia vive una vita piena (anche di rischi), un lusso che non potevo permettermi da ventenne.
Una vita per la vela che diventa la vela per la vita.