La barca è femmina

La barca è femmina

Finalmente è sbarcata e le disgrazie son finite (?).
Mio malgrado devo dar fiato alla millenaria superstizione dei marinai nei confronti delle donne a bordo.
Da sempre la barca è considerato uno spazio maschile anche se il contenitore è femminile, la barca appunto. Il resto dell’equipaggio, maschile, testimone di tutte le disavventure con cui ho iniziato la navigazione quest’anno, ha iniziato subito a suggerirmi la spiegazione di tutto: la presenza di …quella navigatrice che ci ha urlato dietro “fermate questa barca, devo fare la pipì”, mentre veleggiavamo a otto nodi, in un mare forza otto, con il vento a 30 nodi.
Rettifico quanto scritto nella news precedente. Il primo giorno è iniziato con il malfunzionamento del pilota automatico, perchè …lei aveva sistemato tutto lo scatolame di ferro accanto alla bussola dell’autopilota che, evidentemente è stato scombussolato. Per smascherare il fattaccio abbiamo dovuto fare intervenire un super tecnico della Raymarine.
Nei primi 15 giorni della navigazione di quest’anno ho sommate tante nuove esperienze quante non ne avevo accumulato nei miei precedenti quarant’anni.
Ho dovuto sostituire il Diodo, per la prima volta in vita mia. Uno strumento di cui ignoravo l’esistenza. E voi?
Ma l’esperienza più sconvolgente è stata quella dell’ancora. Dopo il primo ancoraggio successivo all’impatto subito dalla barca dei magiari, ne è risalito in superficie solo il moncone centrale, senza il vomere della CQR in dotazione. Abbiamo recuperato i pezzi mancanti e provveduto ad una riparazione di fortuna, in attesa della sua sostituzione avvenuta a Spalato.
Anacleto

SIAMO PARTITI, POESIA E PROSA DI UNA PARTENZA

Navigare è esercitare un’arte, una vocazione, un talento.
Navigare è esercitare la saggezza e l’umiltà.
Navigare significa abbandonarsi alla musica del vento e delle vele, dell’acqua contro la chiglia e permette di respirare l’infinito!
Navigare è fendere l’onda e sentirsi divini.
Navigare è scrutare il cielo e pensarsi in balia del destino.
Navigare è l’ansia di partire e poi il desiderio di tornare!
Questa è la poesia. (Gentile concessione di Desirèe)
La prosa: il primo giorno vieni investito da una barca di magiari mentre eri tranquillamente ormeggiato.
Il Genoa appena avvolto si riapre e si squarcia al vento di 30 nodi per rottura dell’avvolgifiocco.
Manca poco che ci cada in testa il riflettore radar appeso ad una sartia.
Perdiamo l’ancora che si apre in due. Ne recuperiamo solo il moncone.
Una cima si incattiva sull’elica….ma questa è normale amministrazione.
E siamo appena partiti. L’estate è appena iniziata come la nostra navigazione.
Anacleto

In Primavera si riparte

Per il diportista l’inverno èun periodo di disarmo e letargo.
Per il velista regatante magari no.
Ma per noi, velisti non agonisti, la primavera segna il nostro risveglio ed il riarmo delle nostre barche. In realtà nel passato inverno ho interrotto il lungo letargo con una ricca, anche se breve, parentesi …oceanica.
Ma la nostra vera stagione èquella estiva, per cui in primavera si riparte. Pasqua, 25 Aprile, Primo Maggio. Sono gli usuali primi tre appuntamenti per collaudare le attrezzature della barca e la nostra volontàdi ripartire.
Naturalmente dopo le rituali manutenzioni di primavera. Per me incredibilmente semplificate da due anni, da quando batto la bandiera della Capitale Europea e da quando ho dotato la carena della mia barca di una antivegetativa a durata pluriennale.
All’insegna della massima semplificazione: dev’essere l’etàe/o l’esperienza.
Fare carena per me non è piùun problema di stato…devo solo tenere in sospensione l’imbarcazione per alcune ore per un robusto idrolavaggio e la sostituzione degli anodi sacrificali. Per il resto devo tenere sotto controllo le scadenze delle dotazioni di sicurezza (quelle poche previste dalla normativa Belga) e nessun’altra incombente burocrazia, Non piùvisite dell’Ingegnere del Rina!
Trovo come sempre qualche piccolo problema elettrico od elettronico all’impiantistica ed alle strumentazioni e via, si riparte. Disgraziatamente mi son dotato di troppi gingilli che soffrono il salmastro e che richiedono la dovuta attenzione , ma tant’è, quando funzionano danno tante soddisfazioni. Cito solo gli ultimi: pannelli solari, generatore eolico, dissalatore, potabilizzatore.
All’insegna dell’autosufficienza energetica ed idrica.
Per la navigazione limitata che prevedo per la prossima stagione potrebbero sembrare esuberanti, ma non lo erano per quelle degli anni passati e non lo saranno per gli anni venturi.
Anacleto

Libertà di navigare

Da sempre ho pensato che chi naviga a vela ha la possibilità di sentirsi libero in uno spazio, quello del mare infinito, privo di limiti e costrizioni. Mi sono da poco liberato anche dalla Burocrazia Greca ed Italiana, da quando isso la Bandiera Belga. Ma proprio ora, che potrei non pormi più limiti nè di tempo , nè di spazio alla mia navigazione, ho capito che bisogna porseli, questi limiti. Se non lo fai tu, lo farebbero gli altri per te ed allora la sofferenza sarebbe doppia. Non mi referisco agli inevitabili limiti imposti dalla propria resistenza psicofisica od a quella strutturale della tua imbarcazione e nemmeno ai limiti imposti dalle avverse condizioni metereologiche. Penso ai limiti più attuali, quelli di natura socio politica. Ci sono mari dove non si può (od è poco raccomandabile) navigare e ci sono terre dove non è consigliabile sostare all’ormeggio. Sono note da tempo ai naviganti le zone di navigazione off limits per i possibili sgraditi incontri con pirati dell’era moderna (lungo la costa della Somalia, del Venezuela, del Marocco, al largo delle Filippine ecc.). A me le Autorità Costituite hanno impedito l’ingresso nella Cipro Turca e reso molto problematico l’ingresso in Turchia perchè avevo l’imbarcazione con Bandiera Greca. Ho rischiato d’essere “trattenuto”, sempre dalle Autorità Costituite, in Tunisia. Non son potuto entrare in Albania all’epoca dei…gommoni. Ora devo evitare, per gli stessi e più gravi motivi, tutto il Canale di Sicilia, dove ho navigato spesso gli anni passati. Irraggiungibile ormai, e tanto meno sostabile, la nostra Lampedusa, per le notizie che da lì abbiamo ogni giorno. Da qualche anno non torno più nemmeno in Grecia, mia seconda patria nautica . Mi manca il coraggio di rivedere i tanti amici Greci, conosciuti in più di dieci anni di frequentazione, ridotti oggi in miseria. Ora, dalle Canarie, ho riscoperto l’oceano, ma è un po’ lontano. La prossima stagione non mi resta che riscoprire, dopo oltre 50 anni dalla prima volta, la …Polinesia del Mediterraneo. Per chi non lo sapesse viene così chiamata la nostra negletta e talora vituperata Croazia, detta più italianamente, Istria e Dalmazia. Anacleto

VOGLIA DI OCEANO

Anche Cristoforo Colombo è passato di qua, prima del grande salto, il primo della storia (?). La traversata a vela dell’Atlantico passa da secoli dalle Isole Canarie dove le barche “normali” (non quelle di regata spinta) fanno scalo. Attualmente, la più classica regata atlantica non competitiva, l’ARC, parte ogni anno da Las Palmas (Gran Canaria to Santa Lucia) a fine novembre (anch’io vi partecipai qualche anno fa).
Colombo, nel suo primo viaggio, fece scalo tecnico all’isola di Gomera, quella rimasta ancora, forse, la più selvaggia. Le altre isole dell’Arcipelago sono invece troppo …civilizzate.
Anche noi (siamo in quattro amici), nel nostro assaggio di oceano, abbiamo scelto l’Isola di Gomera come nostra meta, fuggendo da quella di Tenerife, la capitale, quella ormai troppo cementificata.
Ce ne sono molte di barche a vela da queste parti e molte…abbandonate nei porti per l’impossibilità di proseguire il viaggio verso l’altra sponda dell’oceano. Sì perché, arrivati fin qui dall’Europa, non si riesce più tornare indietro (gli Alisei contrari da NordEst non te lo permettono). Bsogna proseguire per Sudovest. A chi manca il coraggio si ferma e lascia qui la barca.
Partiti dal porto di Las Galletas, anche per testare la barca presa a noleggio e l’equipaggio, scelgo una una prima rotta di poche miglia verso Nord . Poche, ma che si son rivelate subito impegnative: volevamo affrontare a viso aperto l’impeto degli Alisei sui 30 nodi, proprio di bolina, andatura quasi proibitiva con l’onda lunga oceanica contraria. Abbiamo capito perchè non si può più tornare direttamente verso lo Stretto di Gibilterra, una volta discesi da lassù. A fine giornata siamo comunque nel porto di San Miguel, in una attrezzata Marina dove l’anno scorso stavo per concludere l’affare della mia vita…Una bella barca oceanica…un po’ vissuta e molto abbandonata. Non l’ho più ritrovata. Un navigatore più coraggioso o più incosciente me l’aveva soffiata. Il giorno dopo, tornati a più miti consigli… torniamo umilmente sui nostri passi, al porto di partenza.
Ufficialmente, per accondiscendere alle suppliche dell’unica donna a bordo.
Ci dirigiamo finalmente verso la nostra meta, l’isola di Gomera, questa volta con andatura più consona: un bel traversone verso Ovest di una ventina di miglia. Una galoppata che ci ha ridato coraggio.
I due giorni successivi sono stati di esplorazione terrestre. Anche le Isole Canarie sono rimaste talora incontaminate. L’isola di Gomera mi ha ricordato infatti, con la sua vegetazione subtropicale e le sue scogliere mozzafiato, il fascino selvaggio della natura che avevo conosciuto nelle Isole di Capoverde, quelle meno turistiche, tipo Sant’Antao e San Nicolao.
Ripartiamo infine dal porto di San Sebastian, non con direzione …”le Indie” come fece Colombo il 6 settembre del 1492, ma verso il porto di armamento della nostra barca e verso il confortevole hotel che ci ospitava. Questa ultima veleggiata ci ha ripagati dallo scotto iniziale, tanto che ci siamo ripromessi, per la prossima volta, di raggiungere altre isole dell’Arcipelago.
Anacleto

Vita di banchina

Forse altrove ci sono più navigatori a tempo pieno, ma altrove ci sono anche più stanziali in banchina. Gente che ha scelto la barca come propria abitazione, che ha scelto di vivere in barca anche se inchiodata all’ormeggio. Più note le residenze fluviali. Basta vedere quello che accade sulle sponde del Tamigi a Londra o della Senna a Parigi.
Da noi invece è più frequente il pietoso scenario di marine piene di barche inutilizzate, non utilizzate per navigare , ma nemmeno per abitarvi. Ciondolano pigramente ed inermi, utilizzate a testimoniare solo lo status economico del proprietario.
In realtà c’è anche chi, non potendo navigare, tiene all’ormeggio barche inutilizzate per mantenere vivo, se non altro, un sogno irrealizzabile, quello di solcare il mare infinito.
Comunque sia, se non si naviga , si deve affrontare la vita in banchina.
Fino all’anno scorso non la conoscevo. Da oltre dieci anni ho navigato circa sei mesi all’anno. Praticamente non utilizzavo il posto di armamento della mia barca, se non per un mese o due: sei mesi di navigazione e quattro,cinque mesi in cantiere a secco. Sono stato assente anche per più di un anno continuativamente, avendo talora fatta svernare la barca all’estero.
Da quest’anno ho dovuto …tirare i remi in barca. Solo poco più di due mesi di navigazione, per il resto…in banchina per cui ho dovuto affrontare problemi nuovi, quelli di convivenza con i compagni di banchina. Abituati a non vedermi all’ormeggio, negli anni il mio posto barca è stato prima utilizzato da altre barche ora praticamente èscomparso perché i vicini di barca si sono allargati. Ed io, inaspettatamente, costretto a sgomitare per riguadagnare lo spazio perduto.
La lotta per la vita…in banchina ècominciata.
Mi son trovato vergognosamente impreparato. A mio agio con i quotidiani problemi di convivenza coatta nei pochi metri quadri di un’imbarcazione, lo sono meno in quelli di convivenza …condominiali di una banchina d’ormeggio, alla ricerca di qualche metro in più sulla terraferma.
Anacleto

IL RITORNO IN GRECIA

Dopo avervi navigato ogni anno per oltre dieci con la mia barca, da quattro non ci son più tornato, in Grecia, per questioni burocratiche (tribulata dismissione della bandiera greca). Ma devo ammetterlo, mi manca la Grecia ed i Greci. Quest’anno ci son tornato a fine stagione da turista di passaggio diretto verso la Turchia: un ritorno di fiamma. Non mi posso più far mancare la Grecia nei prossimi anni. Rimane ancora incontestabile il regno felice di noi navigatori a tempo pieno o prolungato.
La bellezza delle sue isole ( soprattutto di quelle non battute dal turismo di massa) rimane incontaminata, la cortesia e la simpatia della sua gente trova una naturale ed immediata corrispondenza con noi italiani soprattutto: ci si sente a casa propria immediatamente e chissà per quali millenari motivi storico-culturali.
Per noi del nordest rimane pur sempre lontana, ma non sarà un problema rirovare flotte di amici che vorranno accompagnarmi verso i mari del Sud.
Navigazione non impegnativa nelle isole Ionie e nel Peloponneso, navigazione invece talora molto impegnativa nell’Egeo fino in Turchia.
In attesa di tornarvi con la mia barca quest’anno per ritrovare d’un colpo sia Grecia che Turchia ho approfittato dell’ospitalità di un amico che tiene la barca in Turchia. Da Fethye, da dove siamo partiti , siamo arrivati a Rodi e quindi a Karpathos, Da lì torniamo verso la costa turca, passando per Kastellorizzo, quindi risaliamo da Kekova, Kas fin su al golfo di Fethyie.
Una bella rotta che unisce le due sponde, greca e turca che con il favore del Mel temi di metásettembre si percorre …in un soffio.
Anacleto

Barche a vela d’epoca

Alle moto ed alle auto per essere considerate d’epoca bastano vent’anni, per le barche a vela almeno quaranta, per taluni cinquanta e solo per quelle rigorosamente in legno. 
Mentre per le moto e le auto esiste la rottamazione e lo sfascia carrozze, per le barche, soprattutto per quelle a vela, non esiste niente del genere, non si sa come disfarsene. Ma il problema non sussiste perché i proprietari non vogliono disfarsene.
Se la barca in questione è una Costa Crociere, la sua demolizione viene contesa perché è un business, non così per le barche a vela, perché,come ho detto, non le demoliranno mai. Ne ho conosciuti di questi proprietari, nei diversi continenti… perché , diventando io navigatore d’epoca (da 40 anni socio della Società Nautica Pietas Julia) da un po’ sto cercando barche che abbiano almeno quarant’anni.
La prima volta è stato in un’isola Brava di Capoverde, dove facevo il medico volontario in un Ospedale dei Cappuccini. Ero finalmente riuscito a convincerlo a vendermela e pattuito il prezzo .Un venti metri di legno, auto costruito negli Stati Uniti dal proprietario che lì si trovava, come emigrante , prima di tornare nelle sue isole come Parlamentare locale. Venni a sapere, dall’intermediario Padre Cappuccino, che poco prima della consegna, il Parlamentare aveva portata la sua imbarcazione al largo e l’aveva fatta affondare.
Alle Canarie ci sono molte barche d’epoca abbandonate: ne ho viste sei a cui ero interessato. Non ho concluso niente. Nonostante i costi delle marine siano esorbitanti, i proprietari preferiscono pagare da anni e mantenerle inutilizzate: un modo per mantenere vivo un sogno, quello di varcare l’oceano.
Altra trattativa andata inizialmente a buon fine avvenne con un altro isolano, questa volta della nostra Isola d’Ischia. Ma al momento di consegnarmi la barca, mi comunica che aveva cambiata idea: intendeva tenersela ed usarla come sua bara da far affondare al largo con il suo cadavere dentro.
Un’anziana vedova di Olbia (Sardegna) tiene da anni ormeggiato nel porto un lussuoso 55 piedi, in completo disarmo ed abbandono. Teoricamente è in vendita. Ma anche con me, come con i precedenti possibili acquirenti, la signora, al momento di firmare il contratto, alza smisuratamente il prezzo, rispetto a quello precedentemente convenuto, confessando che non se la sente, di liberarsi di quella barca , come della memoria di suo marito. 
Storie di normali follie di vecchi e nuovi armatori.
Anacleto

Padova città di acque

Padova era il porto di Venezia. Non Mestre,né Marghera era la terraferma di Venezia, ma Padova. Ancora oggi in centro Padova esiste la Porta Portello chiamata, appunto, Porta Venezia, una monumentale porta della città con ponte, scalinata e pontile d’attracco, porto d’imbarco e sbarco di cose e persone da e per Venezia.
L’ho scoperto per una iniziativa della Lega Navale Padovana che ha la sua sede proprio lungo il canale/fiume che porta a Venezia e che ha organizzato una propria navigazione fluviale lungo l’intreccio di canali che attraversa il tessuto cittadino.
Ed io che pensavo, da padovano, d’essere un terricolo, un agricolo , un continentale! Il mare invece mi arriva da secoli fin sotto casa mia. Notizia sconvolgente, sono sconvolto fin dalle fondamenta di casa mia.
Purtroppo nei secoli recenti molti canali sono stati “tombinati”, trasformati in condotti fognari ed in strade, ma tutt’oggi si può ancora scoprire come Padova sia stata costruita sull’acqua , quasi come Venezia. Sopravvive una, seppur limitata, navigazione fluviale che proveniente da Venezia porta in molte città venete e non.
L’acqua si conferma essere elemento vitale, che porta vita, comunicazione e civiltà. C’è il mare grande , il mare magnum, l’oceano e c’è, intercomunicante, il mare interno, interrato letteralmente sul terra, nel territorio.
Le arterie di comunicazioni ora sono chiamate i percorsi d’asfalto, le strade ed autostrade. Ma le arterie sono, originariamente, quelle del nostro corpo che portano il sangue, la linfa vitale, fino alla più lontana periferia dei nostri arti. Strana ma non casuale commistione e confusione, anche nominalistica, tra le vie di comunicazione e di trasporto, quelle liquide e quelle solide, quelle fluviali/ marittime e quelle di terra, tra quelle navali e quelle autostradali, quelle del nostro corpo e quelle delle nostre terre.
Anacleto

Naufrago dalla nascita

L’antenato più lontano dell’uomo non è la scimmia ma il pesce. L’essere umano, come tutti gli esseri viventi , è nato dal mare non dalla terra, per poi vivere al confine tra terra e mare. Tra la terraferma ed il mare.mosso. Alternativamente si è poi posto come traguardo il mare o la terra . Ricordate il grido di felicità dei Greci di Senofonte “Thalatta”, alla vista agognata del mare, e l’urlo del marinaio in vedetta nella Pinta di Colombo “Tierra”, dopo i sei mesi della prima traversata dell’oceano. Non è la terra che ha spinto in là il mare per farsi spazio , ma è la terra che per divenire tale si è sopraelevata dal livello del mare , si è spinta fuori dall’acqua o meglio è l’acqua che si è ritirata dalla terra sottostante. Lo sanno anche le puerpere che lo sgravio più naturale è quello che avviene se immerse nell’acqua di una piscina. Il primo trauma del neonato è quello che subisce nel doversi trasformare da pesce dentro il grembo materno a mammifero appena al di fuori. Il cucciolo di donna è spinto allo sbaraglio se sospinto fuori all’aria aperta, rimane nel suo elemento se spinto da un liquido stretto ad uno più largo. L’uomo è l’unico pesce che pure spiaggiato riuscirà a sopravvivere all’asciutto sulla terraferma. Un naufrago dalla nascita. Per l’acqua del mare l’uomo proverà un insieme di attrazione e di repulsione. Per sfuggirne il fascino tenterà di coltivarne un’immagine sinistra. Il mare sarà pensato e temuto come ricettacolo nascosto di mostri antropofagi, più che una culla ed un antro felice, popolato di orche assassine, più che di delfini. L’uomo adulto amerà il mare alla follia o ne serberà un ancestrale timore e panico.

Anacleto